Angelo Carasale – 1737

Angelo Carasale

I PARTE

Il successo genera invidia. Lo urlavo ogni giorno aggrappato alle sbarre dalla mia cella, innocente come un bambino la cui sola colpa è quella di aver messo le mani sulla marmellata lasciata incustodita. Non è nella sua natura allungare la mano per fare suo quel barattolo? Lo vedete anche voi, con i vostri #haters che si scagliano contro chi spicca tra gli altri grazie al proprio talento, di qualunque tipo esso sia. Perché, comunque la pensiate, farsi seguire da migliaia di persone è un talento vero e proprio. Provateci voi a fare lo stesso.

Anche io ero circondato da #followers. Mi si avvicinavano docili come cuccioli per leccare quello che restava sulle mie mani e risplendere di luce riflessa. Poi iniziarono a parlarmi dietro, sputando falsità. Volevano essere come me, ma quando hanno capito che non ne avevano i mezzi, hanno utilizzato l’unica cosa che la natura gli avesse concesso in abbondanza: la cattiveria, quella tipica dei perdenti. L’unico modo per abbattere i giganti è colpirli alle spalle, per questo quando cadono lo fanno con la faccia nella polvere. Ah, se almeno fossi crollato su di loro per schiacciarli come meritavano, quei meschini!

Mio padre era un maniscalco, ma quell’umile carriera a me non interessava. L’unico metallo che volevo maneggiare era quello delle monete di cui sognavo di ricoprirmi e gli unici mezzi che avevo per riuscirci erano l’ambizione e l’intelletto con cui ero nato. Non volendo stare nel caldo infernale della nostra officina, decisi di diversificare l’attività di famiglia. Non solo zoccoli per le bestie, iniziai a vendere manufatti in ferro di ogni genere. Avevo clienti molto diversi tra loro, anche armatori – per le realizzazioni navali – e funzionari dell’esercito – per le palle di cannone e le armi con cui equipaggiare i soldati. Avevo una certa abilità nel convincerli a servirsi di noi.

Come facevo? La parola #partyhard vi dice qualcosa? Diciamo che ero l’unico a organizzare appuntamenti di lavoro anche nelle ore notturne, facendoli sembrare tutto fuorché incontri di lavoro. Era tutto lì il mio segreto: far divertire e divertirmi con i miei ospiti. Il mio ufficio era nelle sale più appartate delle locande, dove accoglievo i miei invitati con complicità e savoir-faire. Che belle parole inventano i francesi. Loro sì che ne capiscono di #stile. #Cocktail, piacevoli compagnie e chiacchiere confidenziali sono molto più convincenti che cataloghi e contratti.

Avreste dovuto vedere le mie #feste. Altro che #DanBilzerian, altro che #IlGrandeGatsby o #FlavioBriatore. Se si trattava di serate in cui valeva la pena esserci, state sicuri che erano le mie. Il mio nome iniziò a circolare alla corte dei Borbone fino ad arrivare al Primo Segretario. Una sera me lo trovai davanti come un ospite qualsiasi, venuto a verificare di persona quello che si diceva sulle mie serate. Fu l’ultimo a lasciare la festa e il primo a tornare a quella seguente.

Quell’incontro mi diede la spinta che aspettavo. Se fino a quel momento tutti i miei guadagni venivano reinvestiti in #PubblicheRelazioni, con quella conoscenza iniziai a fare più soldi di quanti ne potessi spendere. Indovinate a chi fu affidato l’incarico di realizzare 24 cannoni di bronzo? Ce l’avete davanti. E indovinate nello stesso periodo chi si ritrovò a parlare faccia a faccia con il Re, Carlo di Borbone, come un suo pari, discutendo degli appalti del Regno? Esatto, sempre io. Ma il successo più grande della mia ascesa fu un altro: la gestione del Teatro San Bartolomeo. A me, uno qualunque, senza santi in paradiso, erano state affidate le sorti del teatro più famoso di una delle città più importanti d’Europa. Sarebbe diventato il mio #MoulinRouge. La gioia era accecante, forse per questo non mi accorsi dell’invidia che cresceva attorno a me.

II PARTE

Avete vagamente idea di cosa significhi organizzare un vero #party? Dovete innanzitutto stendere la lista degli invitati. Partendo dall’alto, da quelli più importanti, e stando attenti a non dimenticare nessuno, ma anche alle preferenze degli ospiti più prestigiosi. Re e regina hanno la precedenza. Poi i ministri, la corte, i funzionari, le cortigiane. Ma non quelle malviste dalle signore dei vostri ospiti. Come in un castello di carte, basta una distrazione per rovinare tutto. Fatto questo dovete poi pensare al #catering. Banchetti di prim’ordine con cacciagione, selvaggina, frutta, dolci e coppe sempre colme di vino. Poi l’intrattenimento e la #musica, per la quale dovete scegliere la #band più in voga del momento. E le luci, i tavoli, gli allestimenti, dove li mettete? Poi dovete organizzare il parcheggio per le carrozze. I valletti, il personale e la sicurezza. Se pensate che organizzare un party epocale sia una cosa che potrebbe riuscire a chiunque, allora non sapete di cosa sto parlando.

Volevo che l’inaugurazione della mia gestione del Teatro San Bartolomeo fosse la festa più bella che Napoli avesse mai visto. Volevo che dei trampolieri, dei trapezisti e dei ballerini sospesi che avevo ingaggiato se ne parlasse a Parigi, Madrid e Londra. I miei angeli, li chiamavo. Volevo che nella testa dei miei invitati quella festa non finisse mai, solo così mi avrebbero ricordato come l’impresario capace di esaudire qualsiasi compito e far primeggiare l’immagine del Regno di Napoli nel mondo.

Funzionò. Il giorno dopo Carlo di Borbone mi convocò al Palazzo Reale per parlarmi a quattrocchi di delicate questioni di Stato. Venni nominato appaltatore delle reali fabbriche, dei castelli del Regno e della città di #Napoli, fornitore di #FuochidArtificio, viveri, munizioni e vestiario militare. Per farvela breve, da quell’incontro tornai a casa con un contratto che mai nessuno prima di me aveva avuto prima: l’incarico per ogni opera che avesse richiesto spesa pubblica, a partire dalla costruzione del #TeatroSanCarlo e della #ReggiaDiCapodimonte.

Grazie alle mie capacità, in poco tempo, da modestissimo figlio di un maniscalco fabbro ero arrivato a concedere prestiti ai nobili della corte. Mentre io gli permettevo di finanziare un #lifestyle degno del proprio rango, loro cominciarono a covare rancore nei miei confronti. Non mi ero reso conto che stavano già progettando la mia rovina.

Iniziò tutto con piccoli scossoni, ma sono quelli che danno vita alle valanghe. Fui accusato di giocare d’azzardo. Di mantenere con il denaro pubblico donne di malaffare. Di aver lucrato sull’organizzazione delle nozze Reali e della Grande Cuccagna organizzata alla Riviera di Chiaia. Arrivarono addirittura a sostenere di aver fatto sposare mia figlia con il Ministro della Marina solo per interesse.

Ero perseguitato dalle indagini, ma le mie spettacolari opere dovevano andare avanti. Alla fine dei lavori che mi erano stati affidati, il San Carlo era di una magnificenza tale che il San Bartolomeo, fino a quel momento il primo teatro della città, fu convertito in una semplice chiesetta, oggi chiamata chiesa della Graziella. Nemmeno questo bastò a fermare le dicerie.

Le luci che avevo acceso in città erano troppo accecanti per quel popolo di ingrati. Anche la Regina Maria Amalia si fece convincere dalle voci che le arrivavano, spingendo il Re a scaricarmi come un lacchè qualsiasi. Dopo essere stato al centro di tutto, mi ritrovai solo.

Quando i soldati vennero a bussare alla mia porta per rinchiudermi a #CastelSantElmo, mi accusarono di spendere il denaro del popolo “in fasti, giuochi, lussi e lussurie”.

Come se esistesse altro di più importante.

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