I PARTE
Voi le chiamate #Groupie. Quelle che si strappano i capelli quando la loro star sale sul palco. Non si perdono una tappa del nuovo tour, fanno file di ore per un autografo e sventolano striscioni sperando di diventare le reginette del #Backstage. Quelle che toglietemi tutto, ma non il mio idolo. Ecco, io ero così, ma volevo essere molto di più. Volevo essere anche musa e amante del mio divo. Volevo che rivelasse a tutti quanto mi amasse, come #Drake con #Rihanna agli #MTVAwards. Volevo che, se si fosse lanciato dal palco dopo aver ultimato uno dei suoi capolavori, come i vostri rapper in magliettoni, ci fossi stata io a prenderlo, strappando i capelli a chi avesse osato mettersi tra noi due.
Volevo questo e anche tutto il resto: una mia linea di moda, le copertine e le passerelle.
Per voi è facile, ne avete a centinaia su #Instagram. C’è Justin Timberlake o quell’altro Justin – Bieberon? Una cosa del genere – o anche #Fedez, se volete giocare in casa. Ai miei tempi c’erano tuttalpiù qualche Papa o Sovrano, decaduti francesi e nobili spagnoli. Al massimo, se mi andava bene, capitava che a teatro mi trovassi a qualche palco da un Vicerè imparruccato che puzzava di stantio a metri di distanza. Mi vedete a fare la #Follower di uno di questi?
Ecco perché il mio lui non poteva che essere #MichelangeloMerisi, ma è più facile che lo conosciate come il #Caravaggio. Io invece mi chiamo Piera. Come Pietro, ma al femminile. Non è colpa mia se mio padre sperava in un maschio e voleva anche dargli il nome del primo apostolo. Almeno mia madre l’ha costretto a eliminare una “t” dal mio nome, santa donna.
Non che lui fosse così devoto, ma nell’alta società era prassi mandare un figlio a scalare il consiglio di amministrazione del Vaticano. Che magari poi diventava Vescovo.
Invece sono arrivata io: non solo femmina, ma di una bellezza così arrogante che farmi suora sarebbe stato un delitto contro l’umanità.
I primi anni, per tenermi al sicuro – diciamo così – mi vestivano da maschio: pantaloni, blusa e gilet, ché non dessi troppo nell’occhio. Poi un giorno tagliai le gambe dei pantaloni e le ricucii in una gonna. Tolsi le maniche alla camicia e trasformai il gilet in una cintura a vita alta.
Ero #Fashion quando il fashion non esisteva ancora. Le ragazze, anche quelle del popolo, soprattutto loro, volevano essere me. Se ci fosse stato un regista a vedermi, mi avrebbe dedicato un film. Il diavolo veste Piera.
Altro che #Dolce&Gabbana: a quel tempo a Napoli ero io a fare scalpore.
In fondo, quando hai un corpo come il mio, non puoi fartene una colpa se lo usi per farti notare. E guarda qui: vita stretta, gambe lunghe, collo sinuoso. E come mi cadono i vestiti!
Ero una #Influencer, la #ChiaraFerragni del ‘600, ma non mi bastava. Voi avete i selfie, i social, i reality. Io non avevo nemmeno uno straccio di book, nemmeno un’agenzia di modelle da quattro soldi dove il proprietario ti metta le mani addosso.
Ma presto il mio amore avrebbe cambiato la mia vita.
Lui era il rock in un tempo in cui il rock si faceva col pennello.
Beveva, si ubriacava e poi faceva a pugni. Adorabile!
E poi avrebbe reso la mia bellezza immortale su una delle sue tele e insieme saremmo stati richiesti nelle corti di tutta Europa.
Ormai non si parlava d’altro che del suo arrivo in città. Io dovevo solo riuscire a farmi notare.
Si faceva vedere poco, per chi dipingesse era ancora un mistero. Una sola cosa sapevano tutti: era solito frequentare la Locanda del Cerriglio, tra Piazzetta di Porto e il Vicolo di Santa Maria la Nova. Avevo deciso che sarebbe stato quello il luogo del nostro primo incontro.
Indossai i miei vestiti migliori, misi i gioielli più lucenti e scesi i gradini della Locanda.
Lui era lì, bellissimo, col suo pizzetto e una ferita alla guancia. Qualcuno aveva osato colpirlo durante una lite. Mentre provai ad avvicinarmi tra la folla e i tavoli rovesciati, iniziarono a trascinarlo via. Non mi aveva nemmeno posato gli occhi addosso.
II PARTE
Eravamo verso la fine del 1606, settembre, o forse ottobre, non ricordo. Quello che so con certezza è che da quel momento non ci fu giorno in cui non lo cercassi.
Perdevo ore e ore a incipriarmi e scegliere l’#Outfit, convinta ogni volta che fosse quella buona, poi salivo in carrozza e mi facevo portare dovunque. Setacciavo Napoli in lungo e in largo, vicoli e strade, porto e centro antico, colline e litorale.
Mi sporgevo dal finestrino perché fossi visibile a chiunque, facendomi vedere da mezza città.
È sconveniente, mi dicevano. Ma sarebbe stato molto più sconveniente non farmi notare dal mio amato, non trovate?
Conoscevo i #QuartieriSpagnoli, dove Caravaggio aveva preso alloggio, come le mie tasche.
I vicoli, i panni stesi, è tutto impresso nella mia mente meglio di #GoogleMaps.
Quante volte ho fatto arrestare la carrozza d’improvviso pensando di averlo visto.
Bastavano dei capelli ondulati, o un barlume di pizzetto per farmi sobbalzare il cuore.
Mai, mai che fosse lui.
Pensate che con i miei corpetti strizzati e la mia speranza di vederlo fossi solo una ragazzina viziata? Perché, voi scegliendo con cura le foto da pubblicare non fate lo stesso? Le vostre bocche a cuoricino nei selfie non sono forse concessioni all’ego alla pari delle mie?
Scommetto che se mi tuffo nei vostri profili trovo decine di #duckface.
E poi ero innamorata, e anche se i tempi cambiano, i sentimenti restano uguali nei secoli.
Il giorno in cui finalmente lo incontrai era il 6 ottobre 1606. Era arrivata una nave di stoffe pregiate dall’oriente e avevo bisogno di ducati per acquistarne qualche rotolo. Al Banco di Sant’Eligio c’era anche quell’odioso di Nicolò Radolovich. Disponeva il pagamento per un tale Michelangelo Caravaggio che sarebbe passato in giornata.
Non poteva che essere stato il destino ad avermi portato lì, in quel momento.
Non mossi un passo, aspettando fin quasi alla chiusura del Banco.
Poi arrivò, facendomi mancare la terra sotto i piedi.
Anche se erano passate ore, era stata una delle attese più belle della mia vita.
Lo seguii dal banchiere e allungai lo sguardo sopra la sua spalla. La ricevuta del pagamento che stava incassando menzionava la pittura di una Madonna con Bambino in braccio.
Che bello sarebbe trovarsi in quel quadro, gli dissi.
Lui si girò sorpreso, squadrandomi da cima a piedi. Gli piacevo, non poteva essere altrimenti.
“Perché, hai mai posato?”.
A quel tempo fare da modella non era un mestiere onorevole, ma mentii. Certo.
Mi prese il mento tra le dita, controllando come luci e ombre mi cadessero sul viso.
“Vieni domani al mio studio, da sola”. Mi diede l’indirizzo e uscì.
Sarei stata la sua Madonna, ci pensate? Quella notte non chiusi occhio, passando in rassegna cosa mettere, come truccarmi, come sedurlo e farlo mio per sempre.
Scelsi un #WhiteTotalLook. Tutta in bianco, come una sposa. La sua.
Mi feci accompagnare davanti alla sua bottega e mandai via la carrozza.
Forse non sarei nemmeno più tornata a casa.
La porta di legno del laboratorio era chiusa. Bussai, ma non ci fu risposta. Bussai ancora. Nulla. Forse doveva ancora arrivate. Aspettai, aspettai e aspettai ancora. Bussando ogni volta più forte. Arrivò mezzogiorno, poi il pomeriggio, infine la sera. Di lui nessuna traccia.
Aveva avuto la peggio in un duello? Un incidente? Magari aveva dovuto lasciare la città di nascosto per qualche bravata delle sue? O forse? Sì, forse mi aveva solo preso in giro.